venerdì 11 luglio 2014

FASHION-ILLUSTRAZIONI: VECCHIE PASSIONI E NUOVI PROGETTI



Silvana Mariani, una bellissima donna con due occhi azzurrissimi, attraverso i quali vede il mondo pieno di colori: quelli delle sue illustrazioni grafiche di Open Toe. Ci siamo innamorate dei colori, delle immagini fashion e del quotidiano che si uniscono, in una grafica semplice ma decisa, a delle brevi scritte personali. Osservando i suoi lavori si passa dal suo cagnolino, alle zeppe del momento….riferimenti di moda all’ordine del giorno! Ecco la sua storia…



Com’è nato il tuo progetto?

E’ stata proprio una scelta di vita in seguito ad un licenziamento. Dopo aver fatto un percorso di quasi 15 anni da dipendente, mi occupavo di web, ho deciso di orientarmi verso una vita diversa, sia nelle tempistiche, sia nella cura del dettaglio del lavoro stesso.



Come sei passata da web a illustrazioni?

Avevo cominciato ad appassionarmi all’illustrazione già prima di accostarmi al digitale, e mi ci sono ritrovata in quest’ultimo periodo, riprendendo in mano il disegno e questa mia passione.


È stato difficile ricominciare?

è difficile, nel senso che ancora adesso mi sento di “star provando”. La parte tecnica nel disegno non si perde, si risveglia: la mano e il proprio stile vengono fuori; bisogna dedicarci del tempo, ma sono dentro e bisogna solo farli riuscire.



Come scegli i tuoi soggetti?

In realtà facendo attenzione a quello che mi succede intorno, tramite riviste, molto on line… Diciamo che la moda è il focus del momento: c’è tanto materiale, tante cose interessanti e stuzzicanti, che poi decido di disegnare! Per questo ho un’attenzione particolare per questo filone fashion: diciamo che è una passione che sto coltivando recentemente a cui sono arrivata tramite il digitale. Infatti avevo queste applicazioni per disegnare Still life, e mi sono ritrovata ad avere come protagonisti oggetti di moda! Ancora ne utilizzo di vari tipi…ad esempio lavoro molto con Sketchbook di Autocad che trovo sia una delle applicazioni sviluppate meglio, per le scritte, invece, uso Paper 53…mi son creata un po’ il mio stile usando gli strumenti in modo personale, tra cui anche queste applicazioni e gli accessori di cui dispongono: proprio come succede nel disegno, se utilizzi un pennello o un altro!



Ho visto che nelle tue stampe c’è anche il tuo cane: ti piace integrare con elementi più personali?

Si! C’è molto di personale! Ci sono anche tanti autoritratti: invece di farmi un selfie, mi faccio un bel autoritratto! Ci sono temi che fanno riferimento a una mia giornata, o a qualcosa di particolare che riesco magari a cogliere fino in fondo solo io ma che comunica all’esterno, crea un feeling ed emoziona chi osserva. 

Hai avuto dei riscontri positivi per i tuoi lavori?

Beh dalle persone, si! In più, recentemente un agente mi ha preso tra il suo portafoglio di artisti, e sta facendo promozione per poter fare qualcosa più di rilievo. Mi piacerebbe non abbandonare comunque il digitale, che è il mio primo amore, ma punto molto anche sulla carta stampata che ha una visibilità ancora forte nonostante il mercato sia in crisi.

L’idea più bella sarebbe fare una rubrica illustrata, che parli per immagini, con qualche piccola storia… Essendo le mie immagini molto pop, con queste scritte che in realtà non fanno parte della vera illustrazione canonica (dovrebbe raccontare tutto solo con l’immagine) ma che io trovo completino il mio stile che contempla il dire anche qualcosa a voce: mi sento sempre molto contaminata da generi diversi.



Dove possiamo trovare le tue opere?

Il mio canale preferenziale è internet: le mie grafiche vengono usate anche all’estero tramite alcuni service di stampa, ad esempio per t-shirt, oggettistica di disegn…anche la mia collaborazione al Sunday Market è approdata tramite un vecchio contatto con Ellis, una delle organizzatrici, per creare delle magliette a tiratura limitata per il sito Lovli. Diciamo che questo nuovo utilizzo dei miei disegni è nato in parallelo col mio crearli…




La difficoltà maggiore che hai incontrato? E consigli per chi volesse intraprendere una strada simile alla tua?

Le difficoltà sono ancora presenti e sono tante! Sicuramente quella maggiore è il cambiare testa, nel senso di gestire le lotte interiori con l’abitudine e la fiducia in se stessi… quando ogni mattina devi inventarti il tuo lavoro indipendente, che non è più programmato come quello dipendente, devi stare molto attenta a fare le scelte giuste, a non perdere occasioni. Il miglior consiglio è sicuramente di iniziare: è la cosa più difficile da fare! Bisogna cercare la spinta giusta per fare il primo passo: la mia è stata quella di voler vivere la vita che voglio, ed avvicinandomi ai quarant’anni era un forte desiderio! Volevo cambiare ritmi, incontrare nuova gente, lavorare facendo quello che mi piace e non più per un progetto altrui.


Troverete maggiorni informazioni sul lavoro di Silvana nelle sue pagine: 



  

È bello sapere che, a volte, le passioni ritornano all’origine per ricrescere verso nuove strade…strade che seguono la trasformazione e il progresso che abbiamo avuto nel tempo, nuove stanze della nostra persona. È bellissimo vedere come queste passioni possano poi diventare un’occasione unica e rara di ambire alla serenità e alla vita che sempre avremmo voluto, anche professionalmente: diventa così visibile ad occhio nudo la gioia, la curiosità, la grinta….tutto disegnata con i più bei colori possibili! 
-Lou- 

venerdì 20 giugno 2014

L'INQUIETUDINE DEL FARE: NUOVO STATUS SOCIALE



Ti è mai capitato di sentirti pieno d’impegni e, con ansia, trovarti a elencare nella tua testa quello che dovrai fare per il resto della giornata? 
Ho letto un articolo di Hanna Rosin che affronta il tema del tempo partendo da una riflessione sul nuovo libro della giornalista Brigid Schulte “Overwhelmed: Work, Love, and Play When No One Has the Time” e ne sono rimasta molto colpita (link articolo). Così tanto da iniziare, lentamente, a provare a rivoluzionare il mio modo di pensare e di parlare! La Shulte analizza, attraverso il linguaggio che si usa nella vita di tutti i giorni, la percezione del tempo al giorno d’oggi.

La cosa che più mi ha fatto riflettere è che sembra che l’essere molto impegnati rappresenti oggi uno status, una specie di prova che stiamo conducendo una vita piena e di successo: siamo proprio sicuri che sia così? Forse abbiamo paura di avere del tempo libero? Forse abbiamo paura di riflettere su cosa stiamo facendo della nostra vita e se è ciò che vogliamo veramente? 
La Shulte parla anche di un sociologo, John Robinson, che ha studiato la percezione del tempo attraverso l’analisi delle agende personali di molti americani e sostiene che, in realtà, non siamo poi così impegnati come crediamo! 



Consiglia di verificarlo scrivendo ciò che facciamo tutti i giorni: ci renderemo conto di quante ore libere abbiamo, che trascorriamo facendo esercizio, guardando la televisione, chiacchierando al telefono con un amico o guardando facebook. Sostiene che il continuare a rimurginare sugli impegni non fa altro che aumentare lo stress: il suo consiglio è di fare le cose, semplicemente, una dopo l’altra. In effetti, dopo aver provato a mettere in pratica questi consigli, devo ammettere che mi sono resa conto che lo stress e l’ansia sono spesso causati più dal continuare a pensare e progettare gli impegni che al farli semplicemente.

Ho deciso quindi di iniziare a modificare anche il mio linguaggio evitando di cadere in espressioni come: “oddio! sono troppo occupata, non ho tempo!”, infatti, proprio l’utilizzo di questo tipo di espressioni mi porta a elencare mentalmente tutto il da farsi previsto nell’arco della giornata e nell’arco delle giornate successive: e riecco l’ ansia! 
Un altro aspetto utile per gestire meglio il tempo e non sentirsi schiavi dei propri impegni è sicuramente l’imparare a dire di no! Spesso, infatti, ci troviamo a fare qualcosa solo perché abbiamo promesso a qualcuno di farla pensando che tanto ci sarebbero voluti solo dieci minuti, oppure perché è quello che ci si aspetta da noi perché l’abbiamo sempre fatto. 


Detto ciò, per rivalutare quali impegni mantenere e quali, invece, rifiutare è essenziale capire quali sono i nostri obiettivi, i nostri valori e i nostri limiti! Una volta che abbiamo chiarito meglio questi punti, probabilmente ci troveremo a fare i conti con la paura che dire di no ci renda delle persone meno piacevoli. Se però avremo il coraggio di affrontare questa paura scopriremo che nella maggioranza dei casi non è così! Certo è importante farlo nella maniera giusta, senza tergiversare troppo o accampando scuse improbabili ma spiegando sinceramente il motivo del rifiuto. 


La maggior parte delle volte verremo capiti e, se proprio dovesse succedere il contrario, chiediamoci il perché: forse non ha capito bene le nostre ragioni? Forse è troppo egoista? O forse dovremmo rivalutare i nostri obiettivi e valori perché siamo noi a essere diventati troppo egoisti? 
Insomma bisogna trovare un proprio equilibrio provando e riprovando e ricordandosi sempre che ogni volta che diciamo di sì a qualcosa, di fatto, stiamo dicendo di no a qualcos’altro! 
Vorrei concludere con una citazione/consiglio utile per evitare di perdersi continuamente nei meandri della nostra mente… pensando troppo al passato o al futuro, progettando a volte senza un nostro vero criterio, ci dimentichiamo la cosa fondamentale: assaporare la vita nel presente, unico momento effettivamente reale e, quindi, unica occasione per essere felici e per costruire qualcosa realmente al nostro crescere. 

Bere il tè lentamente e con riverenza, come se fosse l'asse su cui il mondo gira, lentamente, in modo uniforme, senza fretta verso il futuro. 
Vivere il momento effettivo. 
Solo in questo momento è vita.
 Thich Nat Hahn

-Mice- 

martedì 17 giugno 2014

TUTTI AL SUNDAY MARKET!



Tempo fa vi avevamo accennato sulla nostra pagina facebook (alla quale potete mettere un like in basso a destra!) che saremmo andate ad un evento irrinunciabile per le nostre interviste di persone stra-ordinarie: il Sunday Market! Si tratta di un mercatino pieno di talenti con le loro opere, organizzato da due graziose e in gamba ragazze del milanese, Ellis e Mabel, di cui sicuramente vi parleremo prossimamente. Questa volta ci siamo concentrate sui giovani design che hanno partecipato nella Domenica di Maggio. 




Abbiamo trovato un sacco di storie interessanti, storie di scelte, di determinazione verso quelle aspirazioni personali, insomma….come ci piacciono tanto! Nei prossimi post ci interesseremo delle interviste che abbiamo raccolto: 

da una illustratrice a una blogger di moda, fino ad arrivare a chi costruisce con le sue mani delle borsa di moda, o a chi produce prodotti di design per la casa.Tante giovani menti che hanno saputo far girare la ruota della fortuna dalla loro, o per lo meno verso i loro attuali progetti. 


In generale vi consigliamo di tener d’occhio queste giornate del Sunday market, in cui si vive un’atmosfera mondana e allegra, dove, oltre a stimolare la voglia di cercare il particolare, ci si può perdere in chiacchiere e nuove conoscenze con delle cheesecake e un buon calice di vino a portata di mano. 

Lo spunto per esprimere la nostra personalità ce l’hanno data sia le persone con le loro storie, sia direttamente i loro prodotti unici e risultato della stessa particolarità di chi li ha prodotti: sicuramente scegliere era difficile, ma dava la possibilità di manifestare i nostri gusti più nascosti!



Insomma: buona musica, buon cibo, bei prodotti e belle persone! Fatevi un giro nella loro pagina facebook per essere sempre informati sui loro eventi:

https://www.facebook.com/SunDayMkt


…e con noi, a breve, le interessanti interviste di chi c’era!
Stay tuned!   

Altri contatti del Sunday Market:
http://sundaymkt.wordpress.com 
ellis.e.mabel@gmail.com

Il prossimo evento di Ellis e Mabel:

martedì 27 maggio 2014

CURARE CORPO E MENTE COME UNA SOLA COSA: MEDICINA INTEGRATA.

Conosco Simone, terapista della riabilitazione (e non solo), da tempo, e di lui ho sempre avuto un ricordo chiaro: un uomo in continuo esercizio fisico e di una calma straordinaria. Sono proprio le due caratteristiche del suo progetto di medicina integrata di cui abbiamo parlato davanti ad un caffè...sapete cos è?

Innanzi tutto, cosa si intende per medicina integrata?
Parliamo della cura della persona a tutto tondo, senza soffermarci solo sul disturbo che presenta ma valutando anche aspetti psicologici, sociali e la qualità della vita della persona, per la forte convinzione che siamo fatti di corpo-mente-spirito.Questo approccio ci porta a valutare la cura fisica come ad un singolo passo dentro ad un mondo pieno di sfaccettature, quindi a pensare all'individuo in modo globale, più similmente alla cultura orientale.

Come ti sei avvicinato a questa visione più orientale della medicina?
Durante le scuole superiori, nonostante seguissi il corso di perito aziendale, ho iniziato a osservare il mondo intorno e ad interessarmi alle pratiche orientali. Mi capitava di cogliere sempre di più una sorta di richiamo continuo a queste metodologie e così cresceva anche in me una curiosità che andavo a colmare. Devo dire che l'aiuto più grande è stato dato soprattutto dalle persone che dietro ad un pranzo, con due chiacchiere, hanno acceso la curiosità: così essendo loro già è in quel mondo, tu ti avvicini a tua volta frequentandoli. Da li è iniziata poi una strada di conoscenza personale, tramite letture e corsi.


Con quale corso hai iniziato la tua formazione?
Durante una pausa di riflessione dagli studi universitari di economia (avevo percepito che non era la mia strada) ho iniziato a seguire un corso triennale di Shiatsu e di medicina tradizionale cinese. Li ho avuto la fortuna di conoscere un medico bravissimo, Umberto Mosca, che mi ha aperto a tutto questo mondo, e con cui sono tutt'oggi in continuo contatto, insieme a molti altri miei colleghi del corso (e percorso): si è formato un bel gruppo in cui ora ci aggiorniamo e supportiamo a vicenda. Devo dire, però, che seguire un corso del genere a vent'anni risulta sempre un po' problematico per l'età delicata: questo corso mi ha aiutato anche a superare le mie difficoltà personali grazie allo Qi Gong, alla meditazione e al percorso interiore.

É stata una grande difficoltà?
No, difficoltà è troppo! È la cosa bella! È come nel Tai Chi: magari ti rendi conto che sulla gamba destra vai meno, e sulla gamba sinistra vai di più; è un aumento della consapevolezza, che ti porta anche a determinare i punti dove poter migliorare. Diversamente dai classici studi universitari c'è molta più introspettiva.

Dopo questo corso ti sei talmente appassionato da decidere di cambiare percorso di studi, giusto?
La formazione di questo corso triennale era molto ampia (c'era una parte osteopatica, una fisioterapica , una di medicina tradizionale cinese, una di bioenergetica) ma ho deciso comunque di iniziare in università il corso di Terapia Occupazionale. Adesso sto studiando per la mia seconda laurea, Osteopatia, che era da sempre il mio vero obiettivo.

In Italia come vengono viste queste tipologie di medicine?
Queste tipologie di medicine non sono riconosciute purtroppo…nonostante il grosso impegno che richiedono, e il grosso valore per chi le studia.  L'osteopatia in particolare non è stata ancora approvata dal sistema sanitario italiano; ci sono continue diatribe, anche burocratiche, al riguardo. Sicuramente una delle difficoltà maggiori trovate nel mio percorso.


Questa difficoltà non ti ha spinto a viaggiare, magari in Cina?
La Cina rimane un'idea valida per me per studiare ciò che riguarda le ginnastiche (es. Tai Chi e Qi Gong). La medicina tradizionale cinese, invece, richiederebbe di praticare l'agopuntura, che però in Italia può essere eseguita solo da medici...sicuramente se cambiasse la legge sarebbe una delle mie future aspirazioni. Devo dire che ancora una volta le persone giocano un ruolo importante, in quanto si è instaurato un clima con alcuni dei miei colleghi di corso, come accennavo prima, molto unito, ed ognuno porta i proprio tasselli acquisiti dai vari viaggi personali,da condividere col gruppo: strade diverse in continuo intrecciamento. In generale la voglia di viaggiare c'è, ma prima voglio terminare il percorso che ho intrapreso...poi si vedrà! Anche perché il vero senso del mio percorso non ha una meta delineata, la considero più l'integrare due aspetti: osteopatia e ginnastica classica, con la medicina tradizionale cinese e qi gong.

Abbiamo già parlato delle difficoltà burocratiche del nostro paese; quali sono altre difficoltà del tuo percorso?
Sicuramente far fronte al periodo economico che stiamo vivendo: tendenzialmente questi corsi si svolgono in scuole private il cui costo può essere sostanzioso rapportato all'attuale periodo storico critico...ne si sente l'influenza anche nel lavoro di per sé, in quanto la clientela si vede costretta a rinunciare ad un incontro in più per mancanza di denari. Purtroppo manca una formazione mentale che permetta di considerare una cura integrata a pari importanza di una singola medicina prescritta: c'è una cultura scarsa, una scarsa attenzione, al corpo e alla cura come abitudine.

Cosa ne pensi della medicina classica?
Non essendo medico sono prudente nel parlarne.. ma sono convinto che la medicina classica sia fondamentale per salvare la vita: per esempio dopo un incidente grave non si può pensare di salvare una persona con della ginnastica o agopuntura! Però anche le medicine dette alternative sono di grande aiuto curando la qualità della vita, portando il focus non sulla malattia ma sulla salute. Per esempio il dolore in molti casi non è altro che la luce rossa del cruscotto che ci dice che siamo in riserva: noi possiamo spegnerla con un antidolorifico, oppure andare a scoprire perché si è accesa e lavorare sulla causa effettiva.

Ci parli un po' del tuo studio medico?
In questo studio collaboro da un anno con un caro amico del corso di Shiatsu, anche lui specializzato in più campi: essendo medico pratica l'agopuntura, oltre ad essere psicologo ed omo-tossicologo. Nella visione integrata che ci accomuna, capita di riscontrarmi con questioni di pertinenza medica e quindi la sua collaborazione è preziosa. Io tratto più l'aspetto corporeo, fisico con terapie manuali, ginnastica e il Qi Gong, ricordando sempre il quadro generale della persona. Preciso però che i nostri lavori sono collegati in quell'unica ottica di cui parlavamo, della totalità dell'individuo.


A chi dovesse intraprendere una strada simile alla tua cosa consigli?
Di ricordare sempre che la consapevolezza è la chiave di tutto, specie nel Qi Gong, che è il lavoro sul qi secondo la tradizione cinese; il lavoro su se stessi permette di lavorare sugli altri. Nella medicina tradizionale cinese si ricorda che la salute personale è anche allineata ad un equilibrio universale...chi dovesse scegliere questa strada dovrà sempre ricordare questi concetti, molto importanti.

Come capire che una nostra curiosità è poi “la strada” giusta?
Secondo me la chiave è il sentirsi bene quando si fa qualcosa. Anche nelle cose difficili, quando le affronti senti che stai bene, che c'è un accenno di sapore che ti fa venir fame di assaggiare e continuare. È lo stare bene che non fa guardare altro che il bene stesso: tutto è adesso perché sto bene. E più si va avanti, più la connessione è viva e da piacere.

Simone ha uno studio di medicina integrata centrata sulla persona a Milano, potete contattarlo qui: simo.lagrasta@gmail.com

Credo vivamente che il suo sia un esempio di Vita straordinaria trovata con la fatica di una ricerca introspettiva che però, camminando, riesce sempre a premiarti. Finisco questa intervista con l'idea che dovremmo ricordarci più spesso di curare mente e corpo, non solo alla stretta necessità...dovrebbe essere un rito molto più spontaneo e costante, che sicuramente ci aiuterebbe a percepire di più le nostre verità, fisiche e/o spirituali che siano.  
 -Lou-

giovedì 15 maggio 2014

CONOSCERSI MEGLIO NEL SILENZIO


Sono tornata da poco da un piccolo viaggio nelle campagne della Basilicata. È stato un breve viaggio rigenerativo sia fisicamente che mentalmente: buonissima cucina piena di sapori veri e originali (come non ne sentivo da tempo), niente auto per un po’ ma il sano utilizzo dei miei piedi nei bellissimi vicoli e scalinate panoramiche, occhi che in ogni punto del paesino potevano perdersi nel verde in tutte le sue tonalità e, soprattutto, il silenzio. 
  
Avevo dimenticato l’intensità che può avere quella quiete ed anche i pensieri che vi sono collegati: molto più profondi e sentiti. È un po’ l’effetto del galleggiare: nelle acque calme si torna in superficie più facilmente! Può sembrare che il silenzio rappresenti il vuoto, ma invece io ritengo che sia il tutto in armonia.

Nel nostro quotidiano nella metropoli non ci ricordiamo più i veri suoni della natura, così, come incessante è ciò che sentiamo, inarrestabile va il nostro elaborare pensieri disordinati.
Dunque oggi vi parlo del silenzio come arma per arrivare ad aumentare la capacità di ascolto di noi stessi.

Il primo vantaggio nel ricercare la quiete è che dobbiamo allontanarci obbligatoriamente dalla città (sempre che non abbiamo a disposizione una stanza insonorizzata, ma ci si perderebbe il lato interessante della ricerca!), e dirigerci verso luoghi incontaminati. Logico che la natura non è veramente muta, ma i rumori non artificiali che ci regala aiutano a stabilire ancora meglio il senso di relax che cerchiamo. Non solo: la pienezza dei colori, dei profumi e i larghi panorami inviolati permettono di farci sentire in contatto con l’universo oltre che con noi stessi. 

Un grande della montagna, Walter Bonatti ha detto:

“Da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso. E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso.”

Un’immagine chiara di come la modernità ci porta a non ricordare più il nostro contatto con il mondo e con noi stessi. Dobbiamo uscire dal caos per poter mettere ordine.

Il secondo vantaggio del silenzio è l’ascoltarci fisicamente: a volte ci dimentichiamo il rumore delle nostre ossa, del nostro muoverci, del respirare e persino il ritmo del nostro cuore. Nella meditazione spesso si parte da questo ascolto fisico per arrivare nello stadio di coscienza interiore giusto. Possiamo così comandare il nostro respiro e creare uno stato di rilassatezza maggiore, oltre a renderci conto dei comandi interni dimenticati e sepolti sotto lo stress quotidiano.   

Il punto più difficile ed essenziale: ascoltare i nostri pensieri. Molte persone non amano il silenzio perché non riescono a non farsi schiacciare dalle riflessioni che pian piano salgono in superficie nella mente.
Durante la vita in città c’è un continuo flusso di stimoli mentali: “devo fare”, “guarda qui” “corri di li” ecc…che ci tengono occupati fino a fine giornata e a volte anche nel sonno. 
Siamo troppo intasati, così capita che si intasino anche canali principali quali la comprensione di sé e del prossimo e l’istinto. Dunque la soluzione è sedersi e lasciare che ciò che proviamo arrivi spontaneamente, con i suoi tempi, alla nostra coscienza, dopo di ché sarà facile arrivare ad una verità forse nuova, o forse nascosta. Aumenteremo anche la sensibilità verso noi stessi, la nostra vita e la vita stessa in generale.

In silenzio possiamo anche imparare ad ascoltare e a comprendere le parole degli altri. Il silenzio è ascolto, ed è indispensabile per ogni tipo di comunicazione. Sviluppando la capacità di ascoltare le nostre necessità, abbiamo l’opportunità di maturare e perseguire scelte vere. Sia nel dialogo che nell’arte la pause hanno un significato vivo: hanno il potere di modificare un concetto col solo spostarsi. Un caso di utilizzo curioso del silenzio nell’arte è il componimento intitolato “ 4’33’’ ” di J. Cage, che scrisse per spiegarne l’utopia: il suo spartito dava istruzione all'esecutore di non suonare per tutta la durata del brano, così che i suoni emessi dall'ambiente in cui veniva eseguita divenivano l’opera stessa.



Per finire utilizzo le meravigliose parole di un estratto della poesia “Chiedo Silenzio” di P. Neruda e poi…buon silenzio a tutti!
  
…Ma perché chiedo silenzio
       non crediate che io muoia:
             mi accade tutto il contrario:
                  accade che sto per vivere.
                       Accade che sono e che continuo.


-Lou-

giovedì 8 maggio 2014

LA PAZIENZA E LA SERIETA' DELLO SCRIVERE: DIVENTARE GIORNALISTA



Stefania: una mia amica, giovane giornalista, che ci racconterà del suo percorso, delle difficoltà che sta affrontando proprio in questo mondo e di un nuovo progetto che sta realizzando! Ciò che mi ha sempre colpito di lei è la sua grande voglia di fare e la sua obiettività, nonché il fatto che abbia sempre avuto le idee più chiare di me su che lavoro fare nella vita! Ve la presento! 

Cosa fai nella vita? 
Sono alla fine dei mie studi di giurisprudenza e dal 2011 ho iniziato a scrivere su un giornale locale che però purtroppo ha chiuso un annetto fa. Adesso ho aperto, insieme ad altre persone, un sito d’informazione, La Ginestra.  

Dopo ci parlerai un po’ di questo nuovo progetto ma prima vorrei capire come sei arrivata fino qui. Come hai scoperto questa passione per il giornalismo? 
Sinceramente non so bene come abbia fatto, è una cosa che mi ha sempre attratto perché è un lavoro che ti permette di venire a contatto con persone diverse, inoltre ho sempre avuto una grande passione per la lettura e la scrittura. Quello che mi piace di questo lavoro è il poter raccontare la realtà e le persone in maniera differente, attraverso un punto di vista diverso.  

C’è stato qualcuno o qualcosa che ti ha reso più consapevole di questa tua passione? 
Nel mio percorso ci sono state sicuramente delle esperienze importanti che mi hanno aiutato a capire che è quello che vorrei provare a fare nella vita. 
A liceo davano la possibilità di fare uno stage in un ufficio comunale. Quando vennero a scuola a parlarci del progetto rimasi subito affascinata dalla presentazione della ragazza, Luisa, che lavorava nell’ufficio stampa del comune, si occupava della rassegna stampa e della stesura del giornalino comunale. Decisi di fare quello stage e fu un’esperienza importante: Luisa mi trasmise involontariamente la sua grande passione per il giornalismo e, nonostante lavorasse per il giornalino comunale che, diciamolo, non è proprio giornalismo, lei ci metteva grande passione e serietà, leggeva tutti i giornali, era informata e scriveva in maniera molto elegante. Durante una rassegna stampa, un altro stagista ed io deridevamo L’Avvenire dicendo che era inutile leggerlo: lei ci ha ripreso affermando che era sbagliato comportarsi così, che bisogna quantomeno dare una possibilità a tutto e dopo trarre le proprie conclusioni ma mai partire con il pregiudizio! È stata uno dei miei modelli. 

Scatto durante l'intervista! Da sinistra: Stefania, Mice.
Un’altra esperienza molto importante riguarda un progetto comunale di arte pubblica, Foresta Nascosta. Lo scopo era realizzare una mostra composta dalle storie e dalle foto di famiglia delle persone che abitano nella mia città, San Giuliano Milanese. Il lavoro consisteva nell’intervistare le persone sulla loro storia personale, recuperare le foto di famiglia e allestire il museo. È stato un progetto molto interessante e mi è servito soprattutto per imparare a rompere il ghiaccio, infatti, noi raccoglitori di storie dovevamo proprio andare in giro, suonare alle porte e chiedere alle persone di raccontarci la storia della loro vita e darci anche le loro foto! Potete immaginare che non era proprio facile, però, nel momento in cui le persone si fidavano e si aprivano era bellissimo: di fatto eravamo sconosciuti ma mi raccontavano la loro vita, era una cosa molto intima e si creava una sensazione, un’atmosfera bella.  

Perché hai deciso di iscriverti a giurisprudenza e non a qualcosa di più indirizzato al giornalismo? 
In quel periodo, in effetti, se volevi diventare giornalista di solito ti iscrivevi a Scienze della Comunicazione, però sia i miei genitori che i miei insegnanti me la sconsigliarono dicendomi che le nozioni che avrei imparato in quella facoltà avrei potuto impararle da sola o attraverso dei corsi, invece la facoltà di Giurisprudenza, che piaceva molto ai miei genitori, mi avrebbe dato delle conoscenze tecniche specifiche e in più mi lasciava aperte altre possibilità, come quella di diventare avvocato. Sono molto felice della mia scelta: ho appreso delle nozioni che mi sono molto utili già adesso e che penso mi saranno fondamentali come giornalista, inoltre non escludo di frequentare un corso più specifico non appena mi sarò laureata.  

Quali sono le difficoltà che stai riscontrando nel mondo del giornalismo? 
Per quanto riguarda lo scrivere, il fatto che ero abituata dalle scuole ai periodi lunghi, mentre nel giornalismo è tutto il contrario: il testo deve respirare, il lettore non deve affaticarsi e quindi, frasi concise. Ho dovuto cambiare un po’ il mio modo di scrivere ma non ho perso del tutto il lungo periodo, in fin dei conti ognuno ha il suo stile! L’altra difficoltà è quella economica, per capirci: nel giornale dove lavoravo come collaboratrice venivo pagata 0,004 euro a battuta (è “lo spazio”: che sia una lettera, che sia un punto, che sia uno spazio vuoto, quella è una battuta), ciò si traduceva nello scrivere una trentina di articoli al mese guadagnando 150 euro! Insomma è un po’ poco… Certo non tutti pagano così e sicuramente se sei un giornalista assunto, e non collaboratore come ero io, puoi vivere di questo lavoro! 

Mi puoi spiegare un po’ qual è l’iter per diventare giornalista? 
In realtà, per diventare giornalista basta scrivere. Lo può fare chiunque voglia farlo e non è necessario essere laureati. Quando inizi a scrivere devi assicurarti che ci sia la firma sui tuoi articoli, passati due anni nei quali hai scritto, per un periodico almeno 40 articoli firmati, oppure, per un quotidiano almeno 65 articoli firmati, e hai guadagnato da questi articoli almeno 2.000 euro  (quindi, diciamo, che al prezzo a cui pagano non bastano 65 articoli…), prendi tutti i tuoi documenti, vai all’Ordine dei Giornalisti e paghi 110 euro per chiedere che si valutino. Una volta valutati, se l’esito è positivo, devi pagare una tassa e il canone annuale all’Ordine. Insomma tra fotocopie, marche da bollo e tutto il resto saranno un 400 euro per diventare pubblicista (conosco bene la pratica perché ho fatto richiesta da poco). Per diventare professionista, invece, devi essere laureato, superare un esame di stato e mi pare che bisogna svolgere anche un tirocinio, oltre a dimostrare che la tua unica fonte di reddito è la scrittura. Sinceramente io non penso che farò quest’ultima fase perché, secondo me, è una fatica inutile, insomma se vuoi scrivere alla fine scrivi anche senza quello.  

Logo de "La Ginestra"
Spiegami un po’ in che consiste questo nuovo progetto, La Ginestra? 
Siamo partiti in due, entrambi eravamo rimasti senza lavoro quando il giornale ha chiuso e, sostanzialmente, cercavamo un modo per scrivere perché alla fine diventa un po’ come una dipendenza. Pochi mesi fa abbiamo deciso di aprire un sito d’informazione che si occupa di più aspetti. A livello locale vogliamo are delle inchieste, anche puntando su un confronto tra i vari comuni del Sud Milano, per esempio è uscito un articolo su come viene gestita localmente la lotta alla mafia. A livello nazionale ci occupiamo principalmente  di una sorta di “traduzione” dai linguaggi tecnici, più che altro giuridici, al linguaggio comune che possa perfettamente essere capito anche dalla persona che non ha studiato giurisprudenza e che magari non conosce la differenza tra un decreto legge, un decreto legislativo e una legge (tecnicismi che però fanno la differenza e che è giusto che una persona sappia). In più, c’è una sezione dedicata alla cultura in cui abbiamo pubblicato articoli con analisi su alcuni telefilm, un articolo che analizza tecniche cinematografiche ecc… insomma, un contenitore per darci la possibilità di scrivere!  

Cosa consiglieresti alle persone che non sanno bene quello che vogliono fare? 
Mi viene da dire: guardare dentro se stessi! Sembra una cavolata, però è vero. Per esempio, proprio oggi ho sentito di un ragazzo che ha studiato medicina ma si è accorto che non vuole fare il medico: ha aperto un negozio dove ripara e vende biciclette ed è la persona più felice di questo mondo! A diciotto anni sapeva che voleva riparare e vendere biciclette? No, però aveva una grande passione per il ciclismo che ha continuato a coltivare! Ognuno sa, nel profondo, cosa lo appassiona. 

La sua storia mi trasmette la bella sensazione che con determinazione, pazienza ed azioni costanti (nella scelta dei suoi studi, nei vari lavori svolti e tutt'ora nel suo nuovo progetto), si possa costruire una strada solida per trasformare ciò che ci piace in un lavoro!

Per chi volesse dare un’occhiata al sito d’informazione, La Ginestra, ecco il link: http://ginestrasudmilano.com/

-Mice-




lunedì 5 maggio 2014

VIVERE MEGLIO E REALIZZARE I NOSTRI OBIETTIVI: LA RESILIENZA

Ti è mai capitato di vivere momenti in cui senti di perdere il controllo sulla tua vita? Momenti in cui ti senti impotente e in cui tutto sembra andare per il verso sbagliato? Ciò di cui voglio parlarvi, ha proprio a che fare con questo! 


La RESILIENZA, termine di natura scientifica, è usato in psicologia per indicare: 
“la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che la vita offre senza perdere la propria umanità. Persone resilienti sono coloro che immerse in circostanze avverse riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.” (cit. Wikipedia)


La buona notizia è che questa capacità non è un qualcosa che le persone hanno o non hanno: si tratta di pensieri e azioni che tutti possono imparare a sviluppare! Come? Vi avviso di non aspettarvi una bacchetta magica però qui troverete qualche consiglio pratico e utile. La cosa fondamentale è quella di allenarsi a CAMBIARE PROSPETTIVA, in particolare è importante farlo su due questioni:

1 - rivalutare il CONCETTO DI VITA, cioè riflettere su quello che noi pensiamo sia la vita. Spesso la sofferenza e il senso d’impotenza derivano da un cambiamento che noi rifiutiamo: vorremo che le cose, soprattutto quelle positive ma a volte anche le negative, non cambino perché vorremmo evitare scombussolamenti e ciò che non conosciamo. La vita però non è questo, non è immobilità. Basta guardarsi intorno, osservare la natura per rendersi conto che: la vita è cambiamento! “L’energia non si crea e non si distrugge ma si trasforma” dice una legge della fisica, ed è proprio così, tutto si trasforma e sta a noi utilizzare la nostra energia per buttarci giù o per affrontare il cambiamento cercando di far emergere il meglio per la nostra vita. 
 
2- Il concetto di CRISI. Questa parola risveglia in noi sensazioni d’insicurezza, di paura e, in ogni caso, sensazioni negative. Il vocabolo “crisi” in giapponese è formato da due sottoideogrammi, quello per la parola “problema” e quello per la parola “opportunità”. Pensare a una crisi come a un’opportunità può sembrare assurdo, eppure, se riusciamo a cambiare punto di vista, possiamo sia uscire da quello stato emotivo di paura che ci paralizza, permettendoci di intravedere le infinite possibilità che la vita sempre ci offre, sia gestire il cambiamento provocato dalla crisi in modo da arricchire la nostra vita. Provare per credere!

 
Un altro consiglio, più pratico, per sviluppare la resilienza è il PORSI OBIETTIVI PICCOLI (indirizzati a realizzare obiettivi più grandi) e costringersi a fare un po’ ogni giorno, aggireremo così la sensazione di paralisi che può creare la paura di obiettivi più grandi e, il realizzarli, aumenterà la nostra autostima. Può aiutare ulteriormente in questo senso il praticare dello sport:
"Quando corri, c’è una piccola persona che ti parla e dice: <<Oh, sono stanco, i miei polmoni stanno quasi per scoppiare, mi sento così male. Non posso continuare.>> Tu vuoi smettere. Se impari a sconfiggere quella persona quando stai correndo, riuscirai a non fermarti quando le cose diventeranno difficili nella tua vita.” (Will Smith) 
Questa frase descrive perfettamente come il jogging possa aiutare a sviluppare la resilienza: è un modo per allenare la nostra resistenza psicologica oltre che fisica e per abituarci ad affrontare lo sforzo e la fatica.

Ultimo consiglio: IMPARARE DA CHI È RIUSCITO A SVILUPPARLA
Sicuramente troverai degli esempi nelle storie delle persone che intervistiamo, in più puoi approfondire le biografie di persone come Mahatma Gandhi, Nelson Mandela, Rosa Parks, Steve Jobs … La storia e la letteratura sono ricchi di esempi! Lasciati ispirare dalla loro forza di volontà e capacità di reagire, dal loro riuscire a trasformare anche il negativo in positivo. 

Vorrei concludere citando le parole di un famosissimo fisico, Stephen Hawking, perché penso riassumano bene il concetto di resilienza nella pratica. Gli fu diagnosticata una SLA con solo tre anni di vita, patologia che furtunatamente si mostrò errata; la vera malattia gli concesse di sopravvivere oltre quel periodo. Anni dopo, in una conferenza, descrisse il periodo durante la falsa notizia: “ …, So, però, che l’idea della morte incombente ha cambiato la mia vita… quando ho scoperto di essere malato, mi sono reso conto che avevo un sacco di cose da fare e che improvvisamente ne avevo voglia… ho dato il meglio di me.” (Stephen Hawking) 


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